Identificato nella sindrome di Down un fenotipo di perdita dei motoneuroni
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 19 maggio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
I progressi nelle conoscenze
genetiche e cliniche, gli interventi precoci di prevenzione, promozione delle
abilità e inserimento lavorativo, con l’importante contributo delle numerose
associazioni a supporto, hanno notevolmente migliorato e prolungato la vita dei
portatori di trisomia 21 (Hsa21) o sindrome di Down, che sempre più
frequentemente raggiungono l’età avanzata. Lo studio cellulare e molecolare del
cervello delle persone affette da questa anomalia degli autosomi ha fatto
rilevare, già vari decenni fa, i segni di un processo neurodegenerativo precoce
che indusse ad accostare gli aspetti neurocognitivi della sindrome alle basi
neurali della demenza alzheimeriana. I progressi compiuti nelle conoscenze
hanno poi supportato l’orientamento verso uno studio più analitico di uno
spettro di fenotipi che includono i deficit di memoria e dell’apprendimento,
così come disfunzioni motorie. Si ritiene che una copia aggiuntiva di pochi
geni Hsa21 sensibili al dosaggio causi queste manifestazioni fenotipiche.
Tale opinione, prevalente fra
i genetisti, è stata contestata. In particolare, numerose osservazioni indicano
che l’aneuploidia può causare tratti fenotipici mediante l’azione di massa di
un grande numero di geni, con contributi non rilevabili da parte di singole
sequenze. A questo proposito, è stato rilevato che le anomalie motorie che
caratterizzano la Hsa21 sono relativamente meno studiate di tanti altri aspetti
della sindrome; in particolare, i geni sensibili al dosaggio responsabili e i
meccanismi alla base del fenotipo sono ancora ignoti.
Il problema è stato affrontato
da Watson-Scales del Francis Crick Institute di Londra e numerosi colleghi, con risultati di
sicuro interesse.
(Watson-Scales S., et al.
Analysis of motor dysfunction in Down Syndrome reveals motor neuron
degeneration. PLoS Genetics 14
(5):e1007383, 2018).
La provenienza degli autori
è la seguente: The Francis Crick Institute, London (Regno Unito); UCL Institute
of Neurology, London (Regno Unito); Wolfson Centre for Age-Related Diseases,
Kings College London (Regno Unito); MRC Harwell Institute, Harwell Campus,
Oxfordshire (Regno Unito); The Children’s Guild
Foundation Down Syndrome Research Program, Genetics Program and Department of
Cancer Genetics, Roswell Park Cancer Institute, Buffalo, NY (USA); Nuffield
Department of Clinical Neurosciences, University of Oxford, Oxford (Regno Unito); Imperial College,
London (Regno Unito).
Esquirol, uno dei fondatori della moderna psichiatria, già nel 1838 fece le prime
osservazioni cliniche, integrate nel 1844 da quelle di Séguin,
ma solo con la pubblicazione nel 1866 da parte del medico inglese John Langdon Down di Observation on An Ethnic Classification of Idiots, il fenotipo della sindrome definita solo molto
tempo dopo col suo eponimo entrò nella nosografia medica[1]. Down,
notando che i tratti somatici dei bambini affetti ricordavano quei dei mongoli,
propose la denominazione di “mongolismo” per la malattia e di “mongoloide” per
le persone affette.
Quasi un secolo dopo, si
comprese che la presenza anomala di tre cromosomi invece dei due della coppia
21 (trisomia 21) costituisce la causa citogenetica del fenotipo. La scoperta,
tradizionalmente attribuita a Lejeune (1959), sembra abbia avuto una genesi più
complessa, come è stato raccontato da Marthe Gautier e Peter Harper in occasione del cinquantesimo
anniversario dell’importante acquisizione sulla rivista Human Genetics[2]. In
sintesi, nel 1956 i biologi dell’Università di Lund, in Svezia, definirono il
numero esatto dei cromosomi della specie umana (46), ma già molti anni prima Turpin
aveva proposto di contare i cromosomi in colture cellulari; la Gautier si offrì per questo compito, e da
questa collaborazione venne la scoperta del cromosoma soprannumerario
nell’agosto del 1958. Il team di
ricerca non disponeva di un microscopio in grado di riproduzione fotografica,
pertanto si affidò a Lejeune, che fotografò la trisomia appropriandosi della
scoperta[3]. Nel
1961, una mozione sottoscritta da diciannove genetisti e pubblicata sulla
prestigiosa rivista The Lancet,
chiedeva di abbandonare l’imbarazzante denominazione dal fuorviante contenuto
razziale e di adottare quella, poi entrata in nosografia, di “Sindrome di Down”[4]. Dal
1975 il sinonimo “Trisomia 21” è stato ufficialmente introdotto da una
conferenza degli istituti nazionali di sanità.
Gli studi degli anni seguenti
hanno consentito di distinguere, nell’ambito di questa sindrome che ha una
frequenza di 1 su 600-700 nascite e raggiunge il 10% di tutti i casi di ritardo
mentale grave, la forma comune dovuta alla triplicazione del cromosoma 21, da
quella causata da traslocazione, e perciò duplicazione, della porzione distale
del braccio lungo che contiene la regione ritenuta responsabile della sindrome.
In particolare, in questo segmento cromosomico sono stati studiati DYRK1A e DSCR1. Inoltre, si distinguono i casi di trisomia propriamente
detti, in cui il cariotipo trisomico interessa tutte le cellule, dai mosaicismi, in cui solo una parte delle cellule è affetta e
il fenotipo è caratterizzato da segni poco evidenti e, generalmente, da un
deficit cognitivo lieve e talvolta non rilevabile[5].
Delle tre trisomie descritte
nel neonato a termine, le altre due essendo la 18 o sindrome di Edwards e la 13
o sindrome di Patau, la Hsa21 è l’unica che consente
di giungere in età media e talvolta avanzata.
L’aspetto clinico, associato
al deficit intellettivo, costituisce evidenza diagnostica: bassa statura,
brachicefalia, ipotonia muscolare, congenita brevità del collo conformato a
tenda con bassa inserzione del capillizio e predisposizione alle infezioni
delle prime vie respiratorie, facies tipica con rime palpebrali oblique in alto
verso l’esterno, epicanto, iride con macchie ipocromiche bianco-grigiastre
(macchie di Brushfield), nistagmo, sella nasale
piatta, orecchie piccole e dismorfiche, bocca
tendenzialmente aperta, palato ad arco acuto con lingua protrudente rugosa o
fissurata, mani tozze con dermatoglifi anomali (solco scimmiesco) e mignoli
incurvati all’interno per ipoplasia della falange media (clinodattilia),
spazi anomali tra primo e secondo dito del piede. La frequente presenza di
leucemie mieloidi o linfoidi e cardiopatie congenite contribuisce a ridurre la
durata della vita. Alcune donne affette da sindrome di Down sono fertili e,
come ci si attende, in circa la metà della prole vi è trisomia 21.
La vulnerabilità alle
cerebropatie vascolari in questi pazienti è anche gravata da una anomala ed
elevata percentuale di casi affetti da “Moyamoya Disease”, malattia caratterizzata da una estesa rete
mirabile di piccoli vasi anastomotici alla base del cervello, intorno alla
parte distale del circolo di Willis, che all’angiografia appare come un “soffio
di fumo” (moyamoya
in giapponese)[6]. Entro i quarant’anni la
quasi totalità sviluppa una malattia cerebrale neurodegenerativa
indistinguibile dalla malattia di Alzheimer, verosimilmente perché il gene
della APP (amyloid precursor protein),
dalla quale derivano i peptidi patogenetici βA42, ha sede nel cromosoma 21
triplicato.
Torniamo ora allo studio qui
recensito, che si può sintetizzare in poche righe, ma presenta un risultato di
notevole rilievo.
Watson-Scales e colleghi hanno
impiegato una gamma di ceppi genetici di topi diversi, con duplicazione delle
regioni cromosomiche murine ortologhe di Hsa21, per studiare gli effetti di
livelli più alti di espressione di un piccolo numero di geni. I risultati
dimostrano che un più alto dosaggio
di pochi geni causa disfunzione locomotoria; più
specificamente, che il gene Dyrk1a è richiesto in tre copie per determinare il fenotipo.
Lo studio poi dimostra, per la
prima volta, un nuovo fenotipo della
sindrome di Down: la perdita di
motoneuroni, sia nei modelli murini della malattia sia, soprattutto, in
persone affette dalla sindrome, quale base neuropatologica della disfunzione locomotoria.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] La prima descrizione della sindrome da parte di John Langdon Down, quale particolare tipo di oligofrenia risale al 1862.
[2] Marthe
Gautier & Peter S. Harper, Fiftieth anniversary of trisomy 21: returning to
a discovery. Human Genetics 126 (2): 317-324, 2009.
[3] Marthe Gautier & Peter S. Harper, op.
cit.
[4] Si ricorda che nel 1965 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a seguito di una richiesta formale del delegato della Mongolia, abolì il termine “mongolismo”.
[5] Alcuni autori sostengono che molti casi di “mosaici Down” si associano a prestazioni cognitive nella norma e rimangono non svelati per tutta la vita. Talvolta in persone adulte normali, con una storia di aborti ripetuti o fertilità ridotta, viene dimostrata una traslocazione autosomica bilanciata; i loro figli possono presentare o meno anomalie.
[6] Di raro riscontro, questa malformazione si rileva con una certa frequenza solo in Giappone.